La ’ndrangheta al femminile, parità di genere in salsa criminale

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    L’Osce analizza un fenomeno sempre più complesso. «Donne capaci appieno di esercitare influenza».
    La criminaloga Anna Sergi: «In Calabria ruota tutto intorno alle donne. Per esempio, nel periodo delle faide delle donne le hanno ricomposte o scatenato le faide aizzando gli uomini a combatterle»

    La conclusione vale per tutti: «I dati dimostrano che, sebbene le donne siano spesso sfruttate e vittime di gruppi criminali organizzati, possono anche esserne attori importanti». È un altro passaggio che alle nostre latitudini calza meno: «Persistenti stereotipi di genere fanno sì che il ruolo delle donne nella criminalità organizzata spesso non sia riconosciuto dagli operatori della giustizia penale. Il mancato riconoscimento dell’azione delle donne nella criminalità organizzata impedisce agli Stati partecipanti di comprendere la complessità del panorama della criminalità organizzata e ostacola la loro capacità di combattere la criminalità organizzata transnazionale o di aiutare le donne a lasciare i gruppi criminali organizzati».

    Il dossier dell’Osce

    A mettere questi concetti nero su bianco è l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa che ha appena pubblicato un dossier sul ruolo delle donne nelle mafie. Ebbene, se la tesi della sottovalutazione vale per parecchi Stati dell’Ue, sta in piedi con difficoltà in Calabria, dove le Dda di Reggio e Catanzaro si sono imbattute spesso in figure emblematiche della ’ndrangheta in gonnella, ricostruendone profili e attività: sono nonne, mamme, mogli capaci da una parte di tenere le redini dei clan e dall’altra così forti da saper dire “basta” malgrado tutto e tutti.

    Merito del rapporto pubblicato in lingua inglese è mantenere accesi i riflettori su una questione storica con evidenti implicazioni socio-culturali. L’Osce cita alla voce “Calabrian ’ndrangheta” una sola storia, quella di una donna di Palmi: «Secondo gli atti giudiziari, guidava la cosca agli inizi degli anni 2000. Non era solo una “sorella d’omertà”, ma prendeva decisioni su strategie e attività criminali – estorsioni, aggiudicazioni di appalti pubblici – su tutto il territorio della cosca. Era un’organizzatrice, coordinatrice e leader indipendente, rispettata dagli altri membri della banda, intimidendo i cittadini locali... Ha organizzato attività tra cui la gestione del denaro e l’ordinazione atti di violenta estorsione».

    Secondo i dati riportati nelle 72 cartelle del dossier, «al 31 gennaio 2023 in Italia risultavano ufficialmente 728 i detenuti condannati per essere capi di associazioni mafiose e incarcerati sotto il cosiddetto “regime carcerario duro” (41 bis). Di questi, solo 12 erano donne, cifra rimasta costante negli ultimi quattro anni». E tre sarebbero le detenute al 41 bis legate alla ’ndrangheta.

    Cresce il ruolo della donna nelle ‘ndrine

    Il rapporto dell'Osce conferma quanto già emerso da decine di inchieste: oggi nelle ’ndrine c’è molta meno differenza tra i ruoli. Le donne di vertice prendono decisioni e sono presenti in tutti i “mercati” criminali. E non solo: affiancano competenze operative alla storica trasmissione dei disvalori criminali alle nuove generazioni, «contribuendo alle carriere criminali e alla continuità culturale di clan e gruppi».

    Basato su questionari, interviste approfondite e ricerche precedenti, obiettivo del rapporto è andare oltre i tradizionali binari di genere, esaminando il ruolo delle donne considerandole come pienamente capaci di esercitare una propria influenza nella criminalità. La conferma, indiretta, anche nelle parole del procuratore Giovanni Bombardieri: «In un mondo prettamente maschile come quello della ’ndrangheta – ha detto intervenendo sul tema la scorsa estate a Siderno – il ruolo della donna è molto importante. In moltissimi casi è emerso come la donna gestisse gli affari, ma le donne nelle famiglie di ’ndrangheta sono anche quelle che si sono ribellate, spesso per amore dei figli».

    Dove però, stando sempre al focus dell’Osce, la componente femminile risulterebbe sottorappresentata è nei programmi statali di protezione dei testimoni: quando sono presenti, è come mogli o compagne di un criminale piuttosto che come partecipanti indipendenti a pieno titolo.
    «Senza donne non esisterebbe la ‘ndrangheta»

    Ricoprono (ufficialmente) un ruolo subalterno all’interno della famiglia, non posso essere affiliate, ma l’arresto e la condanna di donne per associazione mafiosa in provincia reggina (e non solo) non fa più notizia. Le leve del comando sono ancora precluse, in provincia di Reggio Calabria; più facile invece vederle occupare posizioni di potere nelle regioni del Nord, dove le cronache giudiziarie rimandano le immagini di spietate signore del crimine che spesso si trovano a guidare un clan a posto di compagni e mariti in carcere. Scavando più in profondità, però, anche in Calabria la donna che cresce in una famiglia di ’ndrangheta, o vi accede per matrimonio, riveste un ruolo centrale, soprattutto se è dotata di una spiccata personalità. Più in generale, alla donna tocca il compito di tenere unite le famiglie (un ruolo importantissimo nella struttura familiare dei clan calabresi). Le più spregiudicate chiedono il sangue per lavare onte e tradimenti, fomentano mariti e figli alla vendetta.

    «In Calabria ruota tutto intorno alle donne»

    «La ’ndrangheta non esisterebbe senza il femminile». Anna Sergi, docente in criminologia all’Università dell’Essex, è una studiosa del fenomeno della ’ndrangheta al femminile. È autrice di molte pubblicazione e, insieme al giornalista Stefano Nazzi, del podcast per il Post “Le onorate. Donne dentro e contro la ’ndrangheta".

    Gazzetta del Sud 07/01/2034 :ph34r:

    Un docunentario sulle donne della ndrangheta si può vedere nell'Area Multimediale del Forum.
     
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