Squadra Mobile

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    Gang degli stupefacenti a Reggio, il giudice: “’Ndrine da escludere ma espliciti riferimenti al traffico di droga”

    Operazione “Jo-Ti”: le motivazioni della sentenza del Gup . Operative due organizzazioni: «Attività conforme al programma associativo è elemento indiziante ai fini dell'appartenenza»

    No all’influenza della ’ndrangheta negli affari di droga della gang incastrata nell'operazione “Jo.Ti.” e la conferma di due distinte associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti. Si sviluppano anche su questi temi le motivazioni del Giudice dell'udienza preliminare che ha emesso la sentenza di condanna, con pene tutte rideterminate al ribasso, a carico dei 13 imputati. Il punto di partenza è la solidità del giro di compravendita di stupefacenti: «Le osservazioni preliminari in ordine alla portata del materiale probatorio, assai ben allineate al tenore dei dialoghi che con gli espliciti riferimenti allo stupefacente, corroborati dagli arresti maturati in corso di procedimento e dalle dichiarazioni allusive rese dagli indagati durante gli interrogatori di garanzia». Il passaggio cruciale riguarda l'associazione: «Occorre precisare, però, che ancorché la commissione di uno o più delitti programmati dall'associazione non dimostri automaticamente l'adesione alla stessa, l'attività delittuosa conforme al programma associativo costituisce un rilevante elemento indiziante ai fini dell'appartenenza ad essa, quando, attraverso le modalità esecutive ed altri elementi di prova, possa risalirsi all'esistenza del vincolo associativo, specie se la pluralità delle condotte dimostri la continuità, la frequenza e l'intensità dei rapporti con gli altri associati»

    Gazzetta del Sud 31/03/2024 :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:

    Il Video Nell'Area Multidiale.
     
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    La resa di Schiavone, la gioia dei pm che piegarono il boss

    CASAL DI PRINCIPE – La resa di Sandokan certifica il successo dello Stato sulla camorra. Si tratta, però, di un successo importante, potenzialmente decisivo, ma che deve aprire la strada a un nuovo salto di qualità nella lotta alla malavita organizzata. I magistrati che i Casalesi li hanno affrontati in prima linea concordano sul fatto che il pentimento di Francesco Schiavone sia un punto di svolta. Perché, soprattutto sul legame con i colletti bianchi, molto resta ancora da sapere. “Credo che siamo giunti ad un risultato importante, che certifica la vittoria dello Stato – ha dichiarato ad Adnkronos Raffaele Cantone, capo della Procura di Perugia, che Sandokan lo ha affrontato in Tribunale – Adesso la speranza è che Schiavone possa rendere dichiarazioni che permettano agli inquirenti di far luce su episodi che, ancora oggi, restano oscuri. Ma soprattutto, che possa parlare dei suoi rapporti con la politica e l’imprenditoria della provincia di Caserta, anche in riferimento anche alla Terra dei fuochi”. Altro pm che i Casalesi li ha sfidati in prima persona è Catello Maresca: “Il pentimento di Francesco Schiavone è un segnale formidabile. La mafia casalese, che è stata combattuta in maniera molto efficace a partire dagli inizi del 2000, non esiste più. E questo è frutto dei grandissimi risultati della stagione antimafia la cui prima importante fase è culminata con la cattura di Michele Zagaria, all’epoca capo indiscusso del clan e n 2 dei latitanti più ricercati d’Italia, dopo Matteo Messina Danaro, preso nel dicembre 2011 dopo 16 anni di latitanza. Quello straordinario gruppo di lavoro, fatto da personale amministrativo, forze di polizia e magistrati, ma anche da tantissima gente comune, cittadini perbene di quelle terre, ha sancito il declino inesorabile della mafia casalese. Quel sistema investigativo, definito modello Caserta, ha raggiunto in poco tempo risultati straordinari, mettendo fine alla latitanza dorata di più di cinquanta tra capi ed organi apicali del clan e sequestrando centinaia di milioni di euro di beni. La lotta alla criminalità organizzata resta, però, ancora una priorità assoluta e va condotta con determinazione e strategia, sia sul fronte giudiziario che su quello di prevenzione e di diffusione della cultura antimafia”. L’impegno del passato che continua nel presente e che guarda al futuro. Per vincerla davvero quella guerra. E un nuovo protagonista è il capo della Procura di Napoli, Nicola Gratteri: “A lui va un ringraziamento particolare. E’ stato capace in pochissimo tempo di lasciare il segno e di valorizzare anche in Campania la sua straordinaria esperienza antimafia”, ha aggiunto Maresca. “E certamente un evento di grandissima importanza, perché Schiavone è stato il capo del clan dei Casalesi, un irriducibile. E’ stato il camorrista che, nel corso di tutto il processo Spartacus, veniva considerato da tutti i collaboratori di giustizia come il capo carismatico dei Casalesi, quello che era stato sempre coerente con le regole di camorra. Da lui – ha aggiunto l’ex procuratore nazionale antimafia, oggi parlamentare M5S, Federico Cafiero De Raho – si potranno ambire informazioni di grande rilievo, soprattutto sulla rete imprenditoriale, che costituiva i cartelli utilizzati dai Casalesi per potersi infiltrare negli appalti pubblici. E Schiavone potrebbe anche riferire della cassaforte del clan, che a tutt’oggi non è stata trovata. E ancora sul traffico dei rifiuti e sul disastro ambientale che ha determinato il clan, potrebbe svelare dove sono stati sversati realmente i rifiuti tossici”. Raffaello Magi, giudice di Cassazione e protagonista della stagione del maxiprocesso Spartacus, spera in importanti rivelazioni da parte di Sandokan: “Questa è una giornata simbolica, perché Francesco Schiavone è stato un capo carismatico. La sua scelta di pentirsi avrà riflessi anche sull’assetto della criminalità organizzata attuale nel Casertano e non solo. Due aspetti sono importanti della sua collaborazione: il primo, la rete di relazioni del clan precedenti al suo arresto, quelle tra il 1993 e il 1998, rapporti che non vengono raccontati ai livelli inferiori con i mondi dell’impresa e delle istituzioni, una rete più riservata e tenuta nella conoscenza solo dei boss. In questo modo avremmo una memoria storica. L’altro aspetto è quello di una verifica sul regime di carcere duro. Ci consentirebbe cioe’ di capire se, nonostante il 41 bis, ha avuto contatti con persone all’esterno ed e’ riuscito o meno a orientare le strategie operative dei Casalesi”, ha concluso Magi.

    Cronache di 31/03/2024 :ph34r: :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:

    Il Video in Area Multimediale.
     
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    LATINA: Minacce mafiose a una donna per non farla parlare: due arresti

    La vicenda scoperta dagli investigatori del commissariato di polizia di Gaeta
    Accusati di intralcio alla giustizia aggravato dal metodo mafioso.
    Due persone sono finite agli arresti a Gaeta nell'ambito di un'indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma. L'attività investigativa è scaturita dai risultati di un altro procedimento seguito dalla procura di Cassino e relativo a una tentata violenza sessuale di cui era accusato lo zio di uno dei due arrestati, un soggetto pluripregiudicato ritenuto appartenente a un'organizzazione che opera nel territorio di Boscoreale, vicino agli ambienti della camorra.

    L'attività di indagine ha fatto emergere che i due uomini avevano preso di mira una donna, che nel procedimento relativo alla violenza sessuale era stata ascoltata dagli investigatori come persone informata sui fatti.
    Per intimorirla ed evitare di farla parlare con gli investigatori le avevano rivolto gravi minacce, acuite dal fatto che la vittima era ben consapevole dello spessore criminale della famiglia.

    Gli accertamenti condotti dai poliziotti del commissariato di Gaeta hanno consentito di delineare un quadro indiziario rilevante a carico dei due uomini, che ha portato a due custodie in carcere, eseguite in provincia di Napoli con il supporto della Squadra Mobile partenopea e dei commissariati di Giugliano e Torre Annunziata.

    Salerno Today 31/03/2024 :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:
     
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    Assalto alla questura di Novara dopo la maxi rissa: chieste cinque condanne
    Nell’episodio del giugno 2020 parteciparono circa 50 ragazzi.

    Erano circa cinquanta ed erano piombati all’ingresso della questura di Novara: a tutti i costi volevano impedire l’arresto di un amico, avvenuto pochi minuti prima in largo Costituente, vicino le poste centrali nel cuore di Novara dove le Volanti erano intervenute per una rissa fra gruppi contrapposti di frequentatori della movida notturna.
    Un agente era addirittura stato trascinato fuori dalla macchina di servizio e per poco non gli veniva pure presa la pistola.

    Un assalto a tutti gli effetti, risalente al giugno 2020, per il quale il pubblico ministero ha chiesto cinque condanne nei confronti di altrettanti giovani identificati quali promotori o partecipanti di quella violenta protesta finita in alcuni video girati poi sui social media: 10 mesi di reclusione sono stati chiesti per il rapper Zefe, al secolo Siffedine Kazir, 22 anni, già protagonista di altri fatti di disordine pubblico; otto mesi per altri quattro manifestanti, Franko Leka, El Medhi Mirinioui, Nunzio Antonio Fazzino e Alex Ocello.
    Sono tutti accusati di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, e lesioni in concorso.
    I difensori, invece, hanno chiesto l’assoluzione sostenendo che non ci sia alcuna prova di una partecipazione attiva degli imputati all’episodio. La sentenza arriverà ad aprile.

    Il lavoro di identificazione, per la Squadra Mobile, non era stato facile.
    Era partito proprio dai video finiti sulle pagine social.
    Quella notte la polizia, per riportare alla calma il gruppo, aveva dovuto utilizzare anche lo spray al peperoncino.
    La protesta era nata dopo una rissa in largo Costituente, dove due giovani erano stati fermati e accompagnati negli uffici di piazza del Popolo.
    Gli amici si erano precipitati in questura a chiedere la loro liberazione, sostenendo in particolare che l’arresto non fosse legittimo.
    In realtà, all’epoca, il giudice l’aveva invece convalidato.

    La Stampa 31/03/2024 :woot: :sick: :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:
     
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    'Ndrangheta nel Comune di Roccabernarda: 9 richieste di rinvio

    ROCCABERNARDA (CROTONE) – Sono nove le persone nei cui confronti il pm antimafia Pasquale Mandolfino ha chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta che avrebbe fatto luce sul monopolio dei lavori elettrici del Comune di Roccabernarda che in meno di un decennio avrebbe affidato un centinaio di appalti all’impresa di riferimento della cosca di ‘ndrangheta dei Bagnato.

    L’udienza preliminare dinanzi al gup distrettuale di Catanzaro Mario Santoemma è fissata per il prossimo 3 luglio. Sotto accusa il boss Santo Antonio Bagnato, di 57 anni, il fratello Gianfranco Bagnato (41), i funzionari comunali Giovanni Iaquinta (65) e Luigi Piro (44), l’imprenditore Antonio Lonetto (44), l’ex sindaco Vincenzo Pugliese (54), Salvatore Aprigliano (31), i collaboratori di giustizia Domenico Iaquinta (42) e Tommaso Rosa (60). Ben 32 le persone offese e tra queste la Dda ha indicato il Comune di Roccabernarda, il ministero dell’Interno e l’ex sindaco Nicola Bilotta. Tutti gli appalti dell’illuminazione pubblica erano gestiti dalla cosca di ‘ndrangheta, infatti, e quando l’ex sindaco di Roccabernarda Bilotta avrebbe tentato di cambiare rotta, il boss Santo Bagnato «lo voleva vedere morto».

    Per sbaragliare la concorrenza, il clan non avrebbe esitato a compiere danneggiamenti e intimidazioni, anche nei confronti dell’ex sindaco che aveva stravolto l’andazzo che caratterizzava, a quanto pare, la precedente gestione amministrativa; ma le minacce erano pure al figlio, al quale sarebbe capitato un “incidente” se l’ex primo cittadino avesse insistito. Lo hanno scoperto i carabinieri del Comando provinciale di Crotone che nel novembre scorso eseguirono un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per i due Bagnato e Lonetto, al quale furono sequestrati conti correnti intestati alla sua azienda e denaro trovato nella sua disponibilità per oltre 157 mila euro. Le accuse sono, a vario titolo, di danneggiamento e turbativa d’asta con l’aggravante mafiosa. Soltanto dal 2009 al 2017, il periodo focalizzato dall’inchiesta, la ditta di Lonetto si sarebbe aggiudicata 101 appalti, per un valore di oltre 170mila euro, e chi non ci stava subiva danneggiamenti, perché l’impresa riconducibile al clan impediva ai concorrenti potenziali di acquisire anche commesse private.

    Decisive le dichiarazioni dei pentiti Domenico Iaquinta e Tommaso Rosa, che hanno fornito lumi agli inquirenti sulla cappa di ‘ndrangheta che gravava sull’amministrazione comunale di Roccabernarda ai tempi in cui sindaco era Vincenzo Pugliese, la cui “soggezione” – il termine era stato utilizzato dal gip – si sarebbe manifestata nel favorire l’affidamento diretto dei lavori di illuminazione pubblica per anni alla ditta Lonetto. In questo contesto sarebbero maturate almeno due azioni intimidatorie ai danni di ditte del luogo. Perfino chi faceva lavoretti nelle case ebbe come avvertimento delle cartucce posizionate in garage, accompagnate da una telefonata minatoria. «A Roccabernarda dobbiamo lavorate tutti altrimenti le cartucce che hai trovato le sparo prima e te e poi a tuo figlio».

    «Ma vostro marito non lo vuole capire che lo facciamo fuori», invece, la minaccia ricevuta telefonicamente dalla moglie di un altro imprenditore. L’ex sindaco di Roccabernarda Bilotta tentò di cambiare musica, in prossimità della scadenza del servizio di manutenzione dell’illuminazione pubblica, e chiese delucidazioni alla Prefettura di Crotone sulla ditta di Lonetto i cui parenti (fratello, zio e cugini) erano stati arrestati nell’operazione anti ‘ndrangheta Trigarium, condotta dai carabinieri contro il clan Bagnato. La Prefettura precisava che non poteva fornire informazioni ma il sindaco, in via urgente e temporanea, affidò il servizio alla ditta Iembo di Cutro. Da allora inizia lo stillicidio per Bilotta. Il primo avvertimento avviene tra il primo e il 2 marzo 2019, quando, presso la sua residenza estiva a Steccato di Cutro, l’ex sindaco trova una bottiglia di plastica contenente benzina con accanto un accendino. Il 21 aprile, a Roccabernarda, nella centralissima piazza Barbaro, Bilotta rinviene sul cofano della sua auto un involucro di carta con due cartucce a pallini. Il 29 luglio arriva una strana telefonata alla moglie di Bilotta, alla quale viene chiesto di informare il sindaco che al figlio «tra poco capiterà un brutto incidente».

    La ditta Iembo, intanto, finisce nel mirino e denuncia il danneggiamento di un’auto aziendale. Addirittura, Lonetto avrebbe chiamato gli amministratori dopo l’intimidazione al sindaco per manifestare che era il preludio di quanto già annunciato da lui dopo la sua estromissione. La situazione stava divenendo esplosiva perché, come emerso da conversazioni intercettate nel corso dell’inchiesta, l’ex sindaco Bilotta, a colloquio con l’ex vicesindaco Luigi Foresta, attuale sindaco, ed altri ex amministratori, raccontava di essere preoccupato perché Lonetto aveva fatto irruzione in un cantiere dove erano in corso lavori della ditta Iembo, pretendendo la chiusura della strada tanto che i lavoratori erano intimoriti e non volevano più eseguire gli interventi. In questo procedimento il pentito Rosa è imputato per il suo ruolo da mancato “palo” per l’omicidio del boss rivale Rocco Castiglione e il tentato omicidio del fratello Raffaele. Nonostante lo squillo che non fece per avvisare i killer poiché la vittima predestinata non era da sola, la Dda ritiene che sia configurabile il suo concorso materiale nell’agguato compiuto nel maggio 2014.

    Il pentito Iaquinta, invece, risponde di una serie di furti di animali: ricompare l’abigeato, anche se la cosca Bagnato non era soltanto ‘ndrangheta rurale. Aprigliano avrebbe appiccato il fuoco, su ordine del boss Bagnato, all’auto di una persona “colpevole” di frequentare la cosca Bagnato, refrattaria ad accettare il dominio del clan. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Simona Celebre, Manfredo Fiormonti, Antonio Ierardi, Antonio Ludovico, Mario Nigro, Sergio Rotundo, Tiziano Saporito, Gregorio Viscomi.

    Il Quotidiano del Sud 31/93/2024 :ph34r:

    Una Operazione Interforse a Catanzaro in Marea Multimrdiale.
     
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    Viaggi vip dalla Tunisia a Marsala. Arrestato l'ultimo scafista.
    Ecco dove si trovava

    Un mese dopo l'operazione coordinata DDA di Palermo, è stato catturato anche l'ultimo scafista del gruppo che organizzava viaggi di lusso dalla Tunisia a Marsala.
    Si tratta di Kabil Ghribi, un tunisino di 35 anni, rintracciato ad Agrigento.

    L'inchiesta aveva portato alla luce un'organizzazione criminale che offriva viaggi su gommoni super veloci a prezzi esorbitanti, fino a 6.000 euro a persona.
    I migranti "vip" venivano trasportati dalle coste settentrionali dell'Africa al litorale marsalese in condizioni di sicurezza non garantite.

    Dodici le persone incriminate nell'operazione del 21 febbraio scorso, tra cui sei scafisti, tutti residenti in Sicilia.
    Ghribi era l'unico a essere sfuggito alla cattura, ma è stato rintracciato dai poliziotti della Squadra mSbile di Agrigento che hanno eseguito il provvedimento di fermo disposto dal GIP di Palermo.

    L'uomo si trova ora nel carcere di Agrigento. Le indagini della DDA hanno smantellato un sodalizio criminale con cellule sia in Tunisia che in Sicilia, attivo dal 2022.

    01/04/2024 :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:

    Operazione Internazionale Contro Traffico Migranti - 12 fermati a Trapani, organizzavano Viaggi VIP in Area Multimediale.
     
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    Milano, ladri a volto scoperto rapinano nella notte un ristorante in pieno centro

    Un uomo e una donna hanno sfondato, poco prima dell'una, il vetro del locale e hanno rubato l'intero incasso della giornata di Pasqua. Dopo il furto, uno dei due è tornato indietro a rubare anche alcune bottiglie di liquori

    Una coppia di rapinatori ha sottratto l'intero incasso in contanti e alcune bottiglie di liquori del ristorante Bottega Ghiotta di Milano.
    È accaduto questa notte, poco prima dell'una, quando un uomo e una donna - entrambi a volto scoperto - hanno sfondato con un tombino il vetro del locale in piazza Diaz, a pochi passi dal Duomo milanese, per poi agire indisturbati per 10 minuti.
    Dopo aver rubato il denaro, uno dei due ladri ha fatto ritorno all'interno del ristorante per sottrarre anche alcune bottiglie di liquori.
    Tutto questo senza che le forze dell'ordine presenti in centro durante la notte si accorgessero del fatto.
    Secondo quanto testimoniato dal proprietario della Bottega Ghiotta, Valerio Tremiterra, “solo questa mattina la responsabile del locale ha dato l'allarme e ha chiamato la polizia”.
    La rapina nella notte

    “Già altri colleghi hanno subito quello che oggi ho subito io nei pressi del duomo di Milano – spiega Valerio Tremiterra -
    I ladri hanno impiegato 7/8 minuti di tempo tra rompere il vetro, entrare con tranquillità nel ristorante, rubare indisturbati fumando tranquillamente una sigaretta scegliendosi pure la bottiglia di liquore preferita in barba a chiunque e senza che nessuno di accorgesse di nulla”. Poi la denuncia: “Non si può andare avanti così, senza sicurezza nonostante i costi enormi di gestione nel centro della città.
    Avevamo deciso di rimanere aperti a Pasqua, nonostante le previsioni del tempo non felici, anche per dare una immagine di città aperta e accogliente per i turisti.
    Hanno visto che abbiamo lavorato, che il locale era aperto e pieno, hanno aspettato la chiusura e consapevoli che i controlli erano pochi, si sono organizzati per il furto”.
    Indagini subito avviate dalla Squadra Mobile Meneghina.

    SkyTg24 01/04/2024 :ph34r: :blink:

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    Straniero beccato con 11 kg di droga e biciclette rubate

    La Polizia della questura di Bolzano lo ha arrestato e, gli ha revocato permesso di soggiorno e lo ha espulso

    Era impiegato in una Azienda di Trasporti, incensurato ed in regola con il Permesso di Soggiorno.
    Ma non gli bastava lo stipendio: per arrotondare i guadagni nel tempo libero ricettava merce rubata e spacciava droga.
    Nella mattinata della Vigilia di Pasqua gli investigatori della Squadra Mobile, nel corso di una complessa indagine scaturita tempo fa a seguito di alcune segnalazioni su un deposito di merce rubata di elevato valore, hanno sottoposto a perquisizione domiciliare e personale un cittadino albanese di 35 anni, residente a Casanova, possessore anche di un garage nel quartiere Don Bosco.

    L’uomo, fermato dagli Agenti della Questura e informato su quanto stava accadendo, sin da subito ammetteva di avere nella propria disponibilità due biciclette di lusso provento di furto, che aveva acquistato pochi giorni prima da uno sconosciuto.
    Infatti, nel garage detenuto dall’indagato venivano rinvenute 2 biciclette elettriche, una del valore di 3.000 euro rubata a una cittadina bolzanina la scorsa settimana, ed un’altra del valore di 6.000 euro anch’essa rubata poche ore prima in Città, del cui furto il proprietario non si era ancora accorto.
    Entrambe sono state immediatamente restituite ai legittimi proprietari.

    Nel prosieguo delle operazioni di perquisizione, all’interno del garage sono stati altresì rinvenuti e sequestrati 11 Kg. di marijuana occultati in un borsone, suddivisi in 20 confezioni termosaldate, e la somma di 2.990 Euro, anch’essa nascosta e considerata provento delle attività illecite di ricettazione e spaccio.
    Al termine degli atti di Polizia Giudiziaria l’uomo è stato arrestato in flagranza dei reati di detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente e ricettazione.

    In considerazione della gravità dei fatti riscontrati e in parallelo con l’iter processuale, il Questore della Provincia di Bolzano Paolo Sartori ha disposto la Revoca del Permesso di Soggiorno rilasciato all’arresto, in modo da poter poi procedere al suo allontanamento dal Territorio Nazionale.
    Sono ora in corso indagini al fine di individuare i contatti dell’arrestato ed i suoi canali di approvvigionamento e di spaccio sulla piazza bolzanina.

    L'Adigetto 01/04/2024 :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:

    Il Video di una rapina diun orologio da 400mila euro in centro a Milano: In Area Multimediale.
     
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    Bari, ucciso il figlio del boss Capriati.

    Bari, quattro colpi di pistola. Così è morto Lello Capriati, il figlio del boss

    Mentre proseguono le polemiche politiche intorno al caso Emiliano-Decaro e la "raccomandazione" del governatore della Puglia al boss di Bari appartenente alla famiglia Capriati, arriva la notizia che proprio il figlio del capo clan, da poco scarcerato dopo 17 anni di reclusione, è stato ucciso in un agguato di mafia.
    Il delitto di Raffaello detto "Lello" è avvenuto ieri sera, tra le 21.30 e le 22, nel quartiere Torre a Mare, una volta piccolo borgo di pescatori a sud del centro abitato del capoluogo e da temp
    o zona controllata dal clan Parisi, storici alleati dei Capriati. La vittima è stata raggiunta da almeno quattro colpi di pistola mentre si trovava sua via Bari, una lunga strada che porta sia nel centro città sia nel vicino comune di Noicattaro, è stato trasportato d’urgenza — e da subito in gravissime condizioni — al Policlinico di Bari e lì è morto poco dopo.
    Leggi anche: Bari, il sindaco Decaro caccia due vigilesse: chiesero protezione al boss
    Leggi anche: “Quel pasticciaccio brutto di Bari Vecchia”: Emiliano smentisce la smentita

    Non è chiaro - riporta Il Corriere della Sera - quanti fossero gli aggressori e se la vittima fosse solo o con altre persone.
    Sul caso indaga la Squadra Mobile di Bari sotto il coordinamento della Dda, gli investigatori non escludono nessuna ipotesi. Si torna dunque a parlare dei Capriati a pochi giorni di distanza dall’ultima volta, ma qui non c’entrano né il sindaco di Bari, Antonio Decaro, né il governatore pugliese Michele Emiliano. E nemmeno le varie questioni politiche delle ultime settimane, che hanno portato a richieste di audizioni, di scioglimento dell’amministrazione comunale e a varie versioni della storia sull’incontro tra Emiliano, Decaro e la sorella di Antonio Capriati. Questa volta si tratta di un agguato di mafia in piena regola.

    Affari Italiani 02/04/2024 :ph34r:

    L'Omicio di Domenico Capriati in Area Multimedale,
     
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    BRESCIA: Truffe agli anziani: due arresti
    Lo scorso 26 marzo le Squadre Mobili di Belluno e Brescia e la squadra di polizia giudiziaria del Commissariato PS “Carmine” hanno arrestato in Provincia di Bergamo due soggetti responsabili del delitto di truffa pluriaggravata.

    Nelle scorse settimane, in seguito ad alcune truffe agli anziani consumate a Belluno, il personale della locale Squadra Mobile si era messo sulle tracce di un’autovettura sospetta.

    Le truffe, erano state perpetrate con il canonico metodo: viene effettuata una telefonata all’utenza fissa a casa dell’anziano/a da parte di un truffatore che si dichiara un poliziotto o un carabiniere, dove la vittima viene avvisata del fatto che un suo parente stretto ha appena causato un grosso danno a cose e persone in un incidente stradale e per questo rischia di andare in carcere. A titolo di falsa cauzione per la liberazione del parente, viene chiesto all’anziano/a di consegnare denaro o monili ad un altro pubblico ufficiale che di lì a poco citofonerà alla porta. Così, effettivamente, si presenta uno sconosciuto a casa dell’anziana/o che, con grande fretta si fa consegnare contante e monili facendo subito dopo perdere le proprie tracce.

    Nella mattina del 26 l’auto sospetta si portava in provincia di Brescia, facendo attivare alle Squadre Mobili di Belluno e Brescia, un servizio di pedinamento nei confronti dei presunti truffatori.

    Dopo aver girovagato per la città ed aver effettuato diverse soste, intono alle 15:30 i soggetti si portavano a Villongo in provincia di Bergamo e consumavano una truffa aggravata ai danni di una signora ultraottantenne. I malviventi si facevano consegnare numerosi monili in oro per un valore di circa 60.000€, dopo aver raggirato l’anziana palesandosi per finti carabinieri, delegati come al solito alla riscossione di detti valori che avrebbero permesso la liberazione della figlia, colpevole di aver investito una persona.

    I due malviventi venivano fermati e arrestati in flagranza poco dopo il colpo per il reato di truffa in concorso pluriaggravata dalla minorata difesa della vittima e dall’ingente danno economico. Si tratta di due uomini pregiudicati, uno di 22 e 45 anni.

    Al termine delle attività venivano tradotti alla locale Casa Circondariale a disposizione della Procura della Repubblica di Bergamo.

    In data odierna il Giudice per le indagini preliminari ha convalidato l’arresto e applicato la misura cautelare della custodia in carcere.

    Mi Lorenteggio 02/04/2024 :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:

    Il Video in Area Multimediale.
     
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    Trapani, ricercato dopo una condanna: la polizia lo scova alla processione dei Misteri
    Bloccato la sera del venerdì santo: era tra la folla insieme alla famiglia

    PALERMO – Era destinatario di un ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale di Palermo dopo una condanna a cinque anni di reclusione per estorsione e rapina ma si era reso irreperibile da giorni, la polizia però lo ha scovato tra la folla che assisteva alla tradizionale processione dei Misteri di Trapani il venerdì santo.
    Protagonista della storia un 55enne bloccato dagli agenti della Squadra Mobile che lo hanno notato mentre percorreva le vie del centro insieme con la famiglia, seguendo la processione.

    LA CONDANNA

    Inutile il tentativo dell’uomo di sottrarsi all’arresto. La condanna riguarda un’indagine del 2018: all’epoca l’uomo aveva costretto la vittima, dietro minaccia di morte, a pagare 850 euro che sarebbero serviti al 55enne per pagare l’ultima rata di una polizza assicurativa.

    Dire 02/04/2024 :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:
     
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    TARANTO, RISSA VIA CESARE BATTISTI: 8 DENUNCIATI
    Taranto, otto denunciati per la maxi-rissa della vigilia di Pasqua: hanno tutti precedenti penali
    Gli otto presunti responsabili dovranno rispondere di rissa aggravata: nella zuffa tra due famiglie tre persone sono rimaste ferite

    Sono state denunciate otto persone per la maxi rissa avvenuta ieri, sabato 30 marzo, per le strade di Taranto a poche ore dal termine delle processioni della Settimana Santa.
    Tre persone sono rimaste ferite, di cui uno alla testa, e hanno fatto ricorso alle cure dei sanitari presso l’ospedale Santissima Annunziata.
    I protagonisti dello scontro, appartenenti a due famiglie distinte, si sono affrontati con calci e pugni in una lite furibonda in via Cesare Battisti, nel quartiere Tre Carrare della città.
    A segnalare gli scontri alle autorità sono stati dei passanti, mentre alcuni residenti hanno documentato quanto accaduto riprendendo la scena con i propri cellulari dai balconi che si affacciano sulla via. Gli agenti della Squadra Mobile, in collaborazione con la Procura della Repubblica, hanno ascoltato le testimonianze dei presenti e analizzato le immagini di un video diventato virale sui social media.

    Tutti avevano precedenti penali

    Nonostante l’intervento tempestivo della polizia, i partecipanti si erano già allontanati dalla via della lite.
    Le otto persone responsabili della rissa sono risultate tutte con precedenti penali e ora sono state denunciate per rissa aggravata.
    Le autorità continuano le indagini per individuare eventuali altri responsabili dell’accaduto, nonché per una seconda rissa avvenuta nello stesso luogo poche ore dopo, durante la quale altre due persone hanno riportato ferite e contusioni, soprattutto al volto, e sono state medicate al pronto soccorso.

    Open 02/04/2024 :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:

    Il Video Nell'Area Multimediale.

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    Como, donna picchiata e rapinata in casa: malviventi in fuga con un bottino di 15mila euro
    L'aggressione questa mattina, da parte di due uomini con il volto coperto da una mascherina. Rubati soldi e gioielli

    Como, 2 aprile 2024 – Colpita al volto e rapinata di 15mila euro tra denaro e gioielli. E’ avvenuto questa mattina in via Felice Bonanomi a Como, in centro storico, dove la donna, 59 anni, aveva appena salutato il marito diretto al lavoro.

    Due uomini sono entrati in casa, con il volto coperto da una mascherina chirurgica, l’hanno malmenata e rapinata di tutto ciò che hanno trovato nell’abitazione, tra cui un migliaio di euro in contanti, orologi di pregio e monili.

    La vittima ha chiamato la polizia prima di essere portata in ospedale, dove è stata medicata e dimessa con una sospetta frattura di uno zigomo. Le indagini sono affidate alla Squadra Mobile della Questura.

    Il Giorno 02/04/2024 :woot: :sick:

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    TREVISO: Picchiato e rapinato del borsello, denunciati due minorenni

    Gli agenti della Questura di Treviso hanno identificato e denunciato i presunti autori della rapina avvenuta lo scorso 10 agosto a San Liberale. Si tratta di un italiano e uno straniero di 15 e 16 anni: la vittima è un ragazzo 17enne

    Gli agenti della Squadra Mobile della Questura di Treviso hanno denunciato alla Procura per i minori di Venezia i presunti autori di una rapina avvenuta il 10 agosto del 2023 in via Campania, nel quartiere di San Liberale a Treviso.
    Si tratta di due ragazzi, un italiano e uno straniero di 15 e 16 anni. Entrambi sono stati identificati e dovranno rispondere di rapina aggravata in concorso.

    Vittima della rapina era stato un ragazzo, oggi 17enne, che lo scorso agosto aveva messo in vendita per 40 euro un borsello, acquistato da uno dei due rapinatori.
    All’appuntamento per finalizzare l'acquisto, la sera del 10 agosto scorso, l'acquirente si è presentato però con un amico. I due hanno aggredito il giovane proprietario del borsello con calci e pugni, strappandogli la borsa e fuggendo senza pagarlo.
    Il giovane aggredito aveva rimediato 7 giorni di prognosi in ospedale. Oggi la sua denuncia alla polizia ha avuto un lieto fine con il fermo dei due rapinatori.
    Uno dei due denunciati, il 16enne, era già noto alle forze dell'ordine

    Treviso Today 02/04/2024 :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:
     
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    Narcotraffico a Castrovillari, reggono le accuse della Dda contro i cinesi
    Shi Yizhang resta in carcere, ma il Riesame lascia uno spiraglio ai difensori circa la possibilità di applicare in futuro una misura meno afflittiva. L'indagato non ha (per ora) un domicilio idoneo.

    Il quadro indiziario e cautelare dei cinesi dimoranti a Castrovillari e accusati di narcotraffico (o di aver favorito tale presunta attività illecita) non è mutuato. Il tribunale del Riesame ha confermato infatti l’ordinanza emessa dal gip di Castrovillari, Simone Falerno che, non trasferendo gli atti a Catanzaro, si è dichiarato competente a livello territoriale, così come prevede anche un orientamento della Corte Costituzionale, richiamato nelle motivazioni del Riesame di Catanzaro.

    Nello specifico parliamo della posizione di Shi Yizhang. I giudici cautelari hanno valutato il ricorso della difesa nell’ambito del procedimento penale aperto dalla Dda di Catanzaro e condotto dalla Squadra Mobile della Questura di Cosenza che nei primi mesi del 2023 aveva iniziato a monitorare un opificio situato nella zona industriale di Castrovillari.

    In questo capannone, ribattezzato come la “centrale della droga” di contrada “Serra delle Ciavole“, zona a due passi dal tribunale e dalla casa circondariale di Castrovillari, la polizia giudiziaria aveva rinvenuto al suo interno gli odierni indagati Tan Yinfan, Wei Wang e Yizhang Shi, nonché un impianto grandissimo di produzione di marijuana.

    Gli agenti della polizia di Stato avevano trovato inoltre un ingente quantitativo di sostanza stupefacente, pari a circa 303 kg nonché circa 2877 piante ancora a dimora, per un peso stimato di 189 kg, oltre al materiale utile al ciclo della produzione. Il gip Falerno riteneva sussistenti il pericolo d fuga e la reiterazione del reato sia per la precaria condizione abitativa dei soggetti che per il contestuale coinvolgimento di due degli indagati in altra inchiesta per narcotraffico nonché alla presenza dello Shi presso uno dei punti nevralgici per l’associazione.

    Secondo il Riesame, relativamente all’ipotizzata condotta di reato addebitata a Shi Yizhang – detenzione illecita di sostanza stupefacente – non si porrebbe alcun dubbio «quanto alla materialità del fatto di detenzione di narcotici destinati allo spaccio, avuto riguardo all’ingente dato quantitativo, alla contestuale presenza di strumenti atti alla produzione di marijuana su larga scala e, per quanto concerne la posizione dell’indagato, alla specifica mansione affidatagli di addetto alla cura della coltivazione illegale» si legge nelle motivazioni, quanto alla presunta inconsapevolezza «circa l’illiceità della propria condotta».

    Il collegio giudicante ritiene infatti che «non sussistano le condizioni affinché l’errore sulla rilevanza penale della condotta possa dirsi inevitabile». Sul punto, il Riesame ha evidenziato che l’indagato si trovava in territorio italiano da mesi «per svolgere lavorativa» e quindi «non può omettersi di considerare, sotto il profilo soggettivo, che trattasi di soggetto proveniente da uno Stato extracomunitario, la Cina, dotato di legislazione estremamente intollerante verso contegni aventi ad oggetto gli stupefacenti e, tra questi, anche la marijuana».
    Le esigenze cautelari

    Il Riesame lascia uno spiraglio ai difensori.
    Ma precisa che il consistente quantitativo di narcotico e le modalità strutturate della detenzione rendano evidente «il collegamento dell’indagato con ambienti criminali organizzati nel narcotraffico. Circa la misura cautelare applicabile, si registra che l’indagato non ha indicato un domicilio idoneo e ciò ha reso impossibile applicare misure cautelari meno gravose di quella della custodia in carcere.

    I difensori Vincenzo Guglielmo Belvedere e Kevin Esposito, si sono attivati per ricercare una struttura adeguata affinché possa venir accolta la richiesta di sostituzione della misura cautelare che verrà presentata in futuro. Intanto, gli avvocati hanno impugnato l’ordinanza del Riesame, presentanto ricorso in Cassazione. I cinesi indagati, in conclusione, sono Yizhang Shi, 47 anni, Yinfang Tan, 32 anni, Wei Wang, 36 anni, Shuanhjun Ye, 49 anni, e Yongfen Cheng, 52 anni.

    Cosenza Chanel 03/04/2024 :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:

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    REGGIO CALABRIA: Rapina aggravata ai danni del Bingo di Reggio Calabria, fermata una coppia
    La polizia fa luce sul colpo da 41mila euro ad Archi.
    In carcere l’uomo, ai domiciliari la donna

    REGGIO CALABRIA Nella giornata del 23 marzo 2024 gli agenti della Squadra Mobile di Reggio Calabria hanno dato esecuzione al Fermo di indiziato di delitto disposto dalla locale Procura della Repubblica, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, nei confronti di 2 soggetti reggini, un uomo ed una donna conviventi, P.G. e R.P, disponendo rispettivamente la custodia in carcere e gli arresti domiciliari, ritenuti responsabili, allo stato del procedimento in fase di indagini preliminari e fatte salve diverse valutazioni nelle fasi successive, della rapina aggravata commessa ai danni dell’attività commerciale Bingo sita in località Archi nella quale circostanza venivano sottratti 41.000 euro.
    All’identificazione dei soggetti si addiveniva in seguito ad una minuziosa attività investigativa, sotto le direttive della Procura della Repubblica hanno permesso di riscontrare che l’uomo aveva eseguito materialmente la rapina introducendosi nell’esercizio commerciale completamente travisato con indosso, sopra gli abiti, una divisa a mezze maniche ad uso cosmetico/sanitario ed uno scaldacollo a copertura del volto, minacciando uno dei dipendenti con una pistola, rivelatesi poi giocattolo, del tipo revolver modello Magnum calibro 380 (abbigliamento e pistola rinvenuti nel corso della successiva perquisizione a casa dell’indagato), facendosi aprire la cassaforte ove erano contenuti i contanti, di cui si impossessava, dandosi tempestivamente alla fuga a bordo di un’autovettura con apposta, sopra a quella reale, una targa rubata.
    La donna, così come emerso dalle indagini, aveva fornito supporto materiale e logistico all’autore materiale della rapina al fine di garantirgli l’impunità e l’impossessamento del denaro.
    Nello specifico, come è stato accuratamente ricostruito dagli investigatori della Squadra Mobile, attraverso l’analisi delle immagini di diversi impianti di video sorveglianza cittadini, per la consumazione della rapina i due complici, al fine di eludere le indagini, utilizzavano 2 autovetture, di cui una noleggiata dalla donna e l’altra in uso all’uomo.
    Quindi, il giorno della rapina, l’uomo si recava al Bingo con l’auto noleggiata – a cui aveva apposto le predette targhe oggetto di furto – e, una volta consumato il reato, si dileguava raggiungendo la donna che lo attendeva, non molto distante dal quartiere Archi, sull’auto in uso all’uomo. Una volta insieme i due si invertivano nella guida delle auto e venivano rimosse le targhe rubate, al fine di rendere ulteriormente difficoltoso per le Forze dell’Ordine la loro individuazione.
    Il Fermo di indiziato di delitto disposto dalla locale Procura della Repubblica veniva successivamente convalidato dal Giudice per le indagini Preliminari disponendo al contempo misure restrittive analoghe a quelle del Fermo.
    Le due misure si inseriscono in un progetto ben più ampio della Polizia di Stato di Reggio Calabria, finalizzato al contrasto alla criminalità predatoria sul territorio reggino che coniuga all’attività di prevenzione quella di immediata repressione del fenomeno.

    Corriere di Calabria 03/04/2024 :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:
     
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    PIACENZA: La polizia segue l’amante sul treno e arresta un ricercato

    Un 28enne è stato arrestato dalla Squadra Mobile in stazione e portato in carcere.
    L’uomo aveva più relazioni sentimentali, una di queste ha condotto gli agenti da lui.

    Pedinano l’amante fino al treno e trovano il ricercato, arrestandolo.
    È successo nelle scorse ore in stazione a Piacenza.
    L’arresto è avvenuto dopo prolungate indagini degli investigatori della Squadra Mobile, che sono riusciti a dare esecuzione ad un’ordinanza di custodia in carcere a carico di un senegalese 28enne, da tempo datosi alla macchia, raggiungendolo ed arrestandolo a bordo di un treno in partenza.

    Dopo aver commesso diversi reati predatori e contro la persona principalmente a Piacenza, ma anche in altre province emiliane, l’uomo era destinatario di una ordinanza di custodia in carcere. La misura è del marzo scorso, ma non era stato possibile eseguirla perché l’indagato era ben consapevole di averne fatta (non solo) una di troppo. Era quindi diventato estremamente guardingo nel muoversi alla luce del sole, sentendosi braccato.

    Il soggetto non aveva mai fornito negli anni alcuna indicazione su dove realmente vivesse, per quanto fosse noto ai poliziotti che disponeva di diversi “covi” sparsi nella zona. Inoltre scappava ogni volta che il suo cammino si incrociava con le forze dell’ordine.
    Vi era però una particolarità ben nota agli investigatori: il soggetto aveva diversi legami sentimentali nella zona, e tra l’altro pretendeva di avere alla luce del sole anche più relazioni in contemporanea, generando con ciò anche crisi di gelosia di solito in pubblica piazza, e quindi destando l’attenzione delle forze di polizia per i rumorosi ed a volte violenti alterchi tra partner.

    La situazione era nota anche perché la stragrande maggioranza dei reati commessi dall’uomo nel corso dell’ultimo periodo era sempre in concorso con una o più persone a lui legate da relazione affettiva e spesso guidate sulla cattiva strada.
    Gli investigatori hanno così capito che per individuare il catturando era necessario seguirne i molteplici legami.

    Nel pomeriggio di ieri, 2 aprile, una sua fiamma veniva pedinata per tutto il pomeriggio dai poliziotti. Salendo improvvisamente su un autobus, l’amante scendeva quindi in stazione e risaliva a bordo di un treno in procinto di partire per un’altra regione: proprio in quel momento, gli investigatori riuscivano a scorgere la presenza anche del ricercato all’interno del convoglio, che stava però per allontanarsi nuovamente da Piacenza. Grazie quindi all’immediato ausilio della Polizia Ferroviaria, il treno è stato fermato e la coppia fatta scendere: gli investigatori della Squadra Mobile hanno così finalmente arrestato il ricercato, poi condotto in carcere.

    Il Piacenza 03/04/2024 :banned2.gif: :bangin.gif: :busted_blue.gif:
     
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    ANCORA STRETTA SULLO SPACCIO
    DUE CUSTODIE CAUTELARI IN CARCERE ESEGUITE DALLA SQUADRA MOBILE DI IMPERIA

    Un episodio di aggressione commesso il primo settembre 2021 in danno di un cittadino di origine peruviana da quattro uomini travisati ha dato il via ad un’attività investigativa di lunga durata che ha disvelato un importante traffico di stupefacenti, probabilmente causa dei contrasti sfociati nell’aggressione.

    Le investigazioni hanno fatto emergere una gestione professionale e frenetica dell’attività di spaccio da parte di quattro persone (K.D., C.E., D.M. e H.D.), che si occupavano di vendita all’ingrosso ed anche al dettaglio dello stupefacente.

    Grazie ad un’attenta analisi dell’operato degli indagati, gli investigatori hanno scoperto il covo in cui veniva custodita la droga, sito a breve distanza del casello autostradale di San Bartolomeo al Mare (IM) ove, il 13 ottobre 2021, sono stati rinvenuti e sequestrati quasi due chilogrammi di hashish.
    La perquisizione è stata, nell’occasione, estesa all’abitazione ed al box auto pertinenziale di K.D., ove veniva rinvenuto materiale per il confezionamento e per il taglio della cocaina.
    Il sequestro e la conseguente analisi del cellulare in uso all’indagato hanno consentito di chiarire le dinamiche dello spaccio e di delineare con chiarezza le condotte illecite dei soggetti coinvolti

    I successivi sviluppi investigativi hanno evidenziato importanti traffici di cocaina, hashish e marijuana nell’imperiese e nelle zone di Savona e Torino, gestiti in maniera particolarmente redditizia, soprattutto da K.D. e dal suo fornitore D.M., i quali, già detenuti per altra causa, il 22 ed il 23 marzo scorsi, sono stati raggiunti dalla misura cautelare della custodia in carcere, emessa il precedente 19 marzo dal G.I.P. del Tribunale di Imperia, su richiesta della locale Procura della Repubblica.

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    SCOPERTO COVO DELLA DROGA: LA POLIZIA ARRESTA DUE SPACCIATORI AD ARMA DI TAGGIA (IM)

    A seguito di attività investigativa condotta dalla Squadra Mobile di Imperia, lo scorso 27 marzo veniva tratto in arresto un uomo di 51 anni (G.G.) ed un cittadino albanese di 36 anni (A.A.) per detenzione finalizzata allo spaccio di sostanza stupefacente.

    Nel dettaglio, veniva scoperto un imbosco in località Arma di Taggia (IM) - frazione Beuzi ove, all’interno di un capanno situato in un ampio appezzamento di terra, veniva occultata della sostanza stupefacente.

    L’uomo di origine albanese veniva bloccato all’interno del suddetto terreno con addosso le chiavi che consentivano l’apertura del lucchetto assicurato alla porta di ingresso del locale, al cui interno è stato rinvenuto circa un chilogrammo di marijuana, oltre che materiale per il confezionamento dello stupefacente.

    La successiva perquisizione presso l’abitazione di A.A. ha permesso di rinvenire ulteriori 50 grammi circa di cocaina, 10 grammi circa di hashish, un bilancino di precisione, un rotolo di cellophane trasparente e diverse buste di colore azzurro, tipicamente utilizzati per il confezionamento dello stupefacente, oltre che di 9550 euro in contanti, possibile provento dell’attività illecita di spaccio.

    L’attività investigativa ha coinvolto, altresì, il proprietario del terreno sul quale insiste la capanna (G.G.), il quale veniva trovato in possesso di 100 grammi di cocaina ancora avvolti in una pellicola. A casa dell’uomo, gli operatori hanno rinvenuto ulteriori 200 grammi di marijuana, oltre che un bilancino di precisione, 265 euro in contanti ed un’arma artigianale con sei proiettili, per la detenzione della quale l’uomo è stato segnalato all’Autorità Giudiziaria.

    Su disposizione dell’Autorità Giudiziaria, A.A. è stato associato alla Casa Circondariale di Sanremo (IM) e G.G. posto agli arresti domiciliari presso l’abitazione di residenza.

    Il giorno 29 u.s. a seguito di convalida per il cittadino albanese è stata confermata la custodia cautelare in carcere mentre al cittadino italiano è stata inflitta la misura dell’obbligo di dimora nei Comuni di Arma di Taggia e Badalucco con pernotto notturno.

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    Un Blitz antidroga a Imperia di un anno fa , giro da centinaia di migliaia di euro in Area Multimediale.
     
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